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𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚𝐒𝐜𝐡𝐨𝐨𝐥 𝐛𝐲 𝐆𝐢𝐚𝐧𝐧𝐢

CAMINITI: ABOLIAMO I VOTI ANCHE ALLE MEDIE

intervista di Focus Scuola a Gianni Caminti, di Barbara Leonardi


È un sistema classista che pregiudica il futuro dei ragazzi
I voti numerici? Non misurano un bel nulla e fanno danno. Non usa mezzi termini, Gianni Caminiti, psicologo, ma anche regista, musicista, scrittore ed editore, nell’accogliere con favore la decisione di abolirli per lo meno alla primaria. «Da anni nei miei corsi parlo dell’assurdità del voto numerico. Usiamo il sistema ordinale ma che cosa valutiamo in realtà? Se io abito al civico 2 e tu al civico 8 possiamo dire che il 2 viene prima dell’8. Ma se dicessimo che in media abitiamo al 5 diremmo una castroneria. Quando faccio questo esempio tutti i docenti sono d’accordo, il problema è che danno i voti nella stessa maniera. Se assegno un 6 a un tema e poi do un 5, vuol dire che questo compito è inferiore all’altro ma non c’è un’unità di misura e quindi fare la media è un vulnus, un danno. Se poi vado a sommare un 7 preso in un tema, un 5 in grammatica, un 6 in un’interrogazione, sto sommando pere, mele e banane e poi le divido per tre: il danno è ancora più importante».

La media di tutte le materie
Rincara Caminiti: «E vogliamo parlare del giudizio finale alla secondaria di primo grado in cui si fa la media di tutte le materie? Una media avrebbe senso se potessi usare scale metriche, ma queste non sono applicabili a nessuna delle materie che si insegnano a scuola, fatta eccezione per educazione motoria. Per tutto il resto, l’esposizione conta moltissimo e il giudizio, per forza di cose, è soggettivo». Per spiegarsi meglio Caminiti ricorre al paragone con lo sport. «È evidente che chi salta più in alto vince. Però ci sono sport dove per decretare chi ha vinto servono dei giudici. E non un giudice solo, tanti. Proprio per stemperare il vulnus del giudizio soggettivo. Per esempio, nei tuffi. La regola vuole che si scartino il giudizio più alto e quello più basso e poi si faccia la media dei voti moltiplicandola per il coefficiente di difficoltà del tuffo. Un meccanismo complesso che riduce, ma non azzera l’ingiustizia, tanto che nessun tuffatore ha mai vinto l’oro senza essere passato prima per un bronzo, perché il giudizio non è indipendente dalla conoscenza della persona. Quindi dobbiamo interrogarci a fondo: che cosa misuriamo con il voto numerico? Nulla. Tranne in ginnastica. Il voto numerico non è mai servito a niente se non a stabilire ordinalmente che quel compito è migliore del tuo. Quindi a fare qualcosa di dannoso, a dividere gli studenti in caste, la seriazione umana». Caminiti i voti numerici li abolirebbe senza dubbio anche alle medie. Tra l’altro, questi numeri decretano il futuro dei ragazzini che all’uscita dalla secondaria di primo grado magari non possono iscriversi ai licei “blasonati”. Un limite reso ancora più ingiusto dalla mancanza di un criterio uniforme di valutazione. I voti cambiano a seconda delle zone, delle scuole, degli insegnanti all’interno di uno stesso istituto: alcuni assegnano al massimo 8, altri 10... «Non solo: in una classe, dove tutti vanno bene, la soglia della sufficienza viene alzata, così come in una classe dove tutti vanno male viene abbassata» osserva Caminiti. «Questo sistema è classista e pregiudica il futuro dei ragazzi. Il 30% non arriva al diploma. È colpa di una scuola che non insegna, ma seleziona. La selezione per avere senso deve prevedere in partenza quanti arriveranno in fondo. Se un Comune emette un bando per tre geometri, non importa quanti si iscriveranno: solo tre verranno assunti. La scuola no, deve portare le persone (meglio se tutte!) da un livello di non competenza a un livello di competenza». Invece, sempre più licei pongono paletti all’ingresso, accettano solo chi ha medie alte. «Questo lede il diritto allo studio. Non possiamo cambiare la realtà di un adolescente? In un Paese dove persino la carcerazione è riabilitativa?».

Diventare competenti
La riforma vorrebbe spingere i docenti ad adottare criteri di valutazione per competenze: sarebbe corretto? «Speriamo! Il voto numerico nel 99% dei casi certifica solo le conoscenze, ma queste non sono fondamentali: se non so una cosa, in cinque minuti la trovo su Internet. Quello che ci viene chiesto, anche dal mondo del lavoro, è invece di essere competenti, di risolvere problemi nuovi. Su questo dovrebbero essere misurati gli studenti. Gli insegnanti dovrebbero interrogarsi sul valore delle conoscenze che trasmettono: sono stabili o temporanee? Se ripeto a pappagallo quello che ho studiato la sera prima prendo 9, ma cosa mi rimane dopo un mese? Un’abilità, invece, indica che io quelle cose le maneggio. E una competenza certifica che usando le mie conoscenze e le mie abilità riesco a risolvere situazioni nuove». Certamente, ma come valutarla? «In un corso a Vimercate ho chiesto ai docenti di scrivere su un bigliettino cosa pensavano fosse la sufficienza. Sono arrivate 120 risposte, le ho clusterizzate: tre pagine! Noi pensiamo di parlare della stessa cosa e invece no. Prima di tutto dovremmo concordare sul significato di sufficienza: che cosa riteniamo che tu alla tua età debba saper fare per stare al mondo. Nel momento in cui raggiungi quella competenza ce l’hai fatta: il 6 significa che ce l’hai fatta, non il 7, l’8 o il 9. E il 5? Quel voto dice che al momento non ce l’hai fatta, ma ce la farai. Che cosa significa? Faccio un esempio. Una competenza è saper sollevare questa tazza. Ci provo e sbaglio tante volte, quindi prendo tanti 4, o 5 se ci sono quasi riuscito. Ma se alla fine dell’anno riesco a farlo, perché mi devi rimandare a settembre? Io quella competenza l’ho raggiunta!».

Il valore dell’errore
Il fatto che l’apprendimento sia essenzialmente una progressione, in effetti, fa a pugni con la media matematica calcolata sullo storico dei voti. Se un ragazzino è partito dal 4 e arriva all’8, si merita forse 9 per lo sforzo che fa fatto, non 6 come indica la media. «Certo, e se uno ha preso 4, 4 e 6 in fondo all’anno, che cosa si merita? Di essere promosso! Se fai fare una cosa, passi al gradino dopo. E se non la sai fare? Vuol dire che per quella prova non sei ancora pronto, ma ce la farai. Non è una questione di impegno, ma di tempo: il numero di prove necessarie per riuscirci. Il dramma è che senza errore non c’è apprendimento, ma appena sbagli rischi l’anno. I ragazzi che sbagliano vengono etichettati subito e questo li frena dal riprovare, abbandonano la partita». Resta il problema di come si valutano le competenze... «Quando certifico la competenza di qualcuno, verifico che si sa muovere collegando saperi diversi, facendo interferenze. Per valutare la competenza serve una prestazione complessa. Bisogna fare progetti, mettere i ragazzi di fronte a problemi nuovi e vedere come se la cavano. Dobbiamo fare in modo che il docente, pur nella sua soggettività, possa certificare una competenza che, badate bene, è solo temporanea, va mantenuta nel tempo». I docenti saranno in grado di cogliere lo spirito della riforma, o tutto si risolverà in uno scambio di etichette, giudizio al posto del numero? «Il fatto che il voto non compaia più in pagella per me è già molto; la paura però è che poi si trovi la formula verbale per significare 6, 7, 8, 9 e 10. Serve molta formazione. Anche i docenti ora devono dimostrare di essere competenti, cioè di saper uscire dalle etichette. Certo, non bisogna limitarsi a usare sufficiente, buono, discreto su scala ordinale».


Intervista a Gianni Caminiti Focus Scuola gennaio 2021
Nella foto uno screenshot della testata
 

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𝟏𝟓𝟎 𝐀𝐍𝐍𝐈 𝐃𝐈 𝐌𝐎𝐍𝐓𝐄𝐒𝐒𝐎𝐑𝐈

Agosto 1870, Chiaravalle.
 

Il 31 agosto, per la precisione di 150 anni fa nacque una donna rivoluzionaria, destinata a segnare e rimanere nella storia.
Maria Tecla Artemisia Montessori è infatti tutt’oggi considerata una pietra miliare per chi si occupa di scuola e non solo.

In un mondo maschile, in cui le quote rosa non esistevano, seppe ed ebbe la forza di farsi strada e di coniugare le idee conservatrici e innovative ereditate dai genitori.
Fu la terza donna italiana a conseguire la laurea in Medicina nel 1896, con la specializzazione in neuropsichiatria. Nello stesso anno partecipò anche al Congresso Femminile di Berlino in rappresentanza dell’Italia, contribuendo con il suo impegno ed esempio all’emancipazione delle donne.

Ma la passione che la animava la portò anche oltre.
Tutta la sua vita fu spesa in un continuo percorso di approfondimento in campi che in apparenza, nell’attuale suddivisione dei saperi, potrebbero sembrare contrastanti quando invece sono solo complementari: materie scientifiche e materie umanistiche trovano nei suoi studi un felice incontro, tant’è che è ricordata sia come scienziata che, e soprattutto, come un’illuminata educatrice e pedagogista.

Nel 1898 si laureò anche in Filosofia.

L’opera Montessoriana non si ferma però al solo conoscere, la sua intera esistenza fu mossa anche dal fare, proseguendo una linea coerente con il suo pensiero ha attraversato gli anni politicamente peggiori degli ultimi secoli, con le Due Guerre Mondiali.

Il Metodo Montessori aveva una filosofia di base attualissima anche oggi: la libertà favorisce la creatività del bambino, creatività che è connaturata alla natura stessa delle prime fasi della vita dell’essere umano.
Compito dell’insegnante è accompagnare in questa crescita, predisporre un ambiente adatto ai bambini, “assecondare” le loro inclinazioni per condurli all’espressione del loro potenziale.

Ma io credo che il contributo più bello lo abbia lasciato per la sua attenzione a tutta l’infanzia: dalla disabilità alla povertà, nulla fu trascurato nei suoi studi e nel suo agire: questa visione d’insieme che forse oggi manca dovrebbe portare ogni insegnante a riscoprirla per progettare una Scuola migliore.

E così, 150 anni dopo, l’invito è a rileggere la sua Opera immensa, per celebrarla, come Donna, come Scienziata, come Educatrice.

Articolo di 2020 © Chiara Resenterra - 25 agosto 2020
Nelle foto: Maria Montessori
Elaborazione grafica di Chiara Resenterra

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𝐋𝐎 𝐏𝐒𝐈𝐂𝐎𝐋𝐎𝐆𝐎 𝐍𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐒𝐂𝐔𝐎𝐋𝐀

SmaniaSchoolWeek #5


Le attività di uno psicologo nella scuola sono tante e dipendono, ovviamente, anche dalle fasce d'età di cui si occupa.
Tenterò un semiserio elenco, assolutamente non esaustivo, delle aree di intervento nella scuola di noi psicologi partendo dai reali incarichi a me affidati.

𝟏) 𝐎𝐬𝐬𝐞𝐫𝐯𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢.
Una cosa per nulla semplice. Per osservare qualcosa in una classe devi essere capace di essere o così coinvolto da essere considerato parte del gruppo, o essere talmente un “arredo” da non essere nemmeno notato.
Semplice no? Quando un ragazzo ti appende il giubbotto sulla testa sai di esseci riuscito.

𝟐) 𝐂𝐨𝐥𝐥𝐨𝐪𝐮𝐢 𝐜𝐨𝐧 𝐟𝐚𝐦𝐢𝐠𝐥𝐢𝐞, 𝐝𝐨𝐜𝐞𝐧𝐭𝐢, 𝐂𝐃𝐂, 𝐩𝐫𝐞𝐬𝐢𝐝𝐢.
Di fronte a determinati problemi viene richiesto il “parere esperto” dello psicologo che talvolta può essere anche ospitato all'interno di organi, tipo il Consiglio di Classe o il Collegio Docenti, cui solitamente non partecipano.
Il problema più grosso in certi casi è essere incisivi.
Se lo sei di solito poi hai delle frizioni da dover gestire, anche pesanti, perchè ovviamente a nessuno piace sentirsi dire le cose da fare o modificare.
Se non lo sei, sembri uno che dice cose così ovvie che
“𝑝𝑜𝑡𝑒𝑣𝑎 𝑑𝑖𝑟𝑙𝑒 𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒 𝑚𝑖𝑎 𝑛𝑜𝑛𝑛𝑎”
ovvero di sentire nell'aria
“𝑒𝑐𝑐𝑜, 𝑔𝑙𝑖 𝑝𝑠𝑖𝑐𝑜𝑙𝑜𝑔𝑖 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑐𝑜𝑠𝑖̀, 𝑖𝑛𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖”.
Quindi in definitva hai due rischi, lavorativamente parlando. Essere mandato via dalla scuola perchè inutile (non incisivo) o perchè risulti scomodo (troppo incisivo).
Beh, io preferisco la seconda. Almeno prima mi diverto.

𝟑) 𝐒𝐩𝐨𝐫𝐭𝐞𝐥𝐥𝐢 𝐂𝐈𝐂.
Soprattutto nelle superiori questo ruolo è delicatissimo e una delle cose più difficili da far capire alle famiglie, ma anche ai docenti, è che il colloquio ha senso se è totalmente coperto da privacy e che i ragazzi si aprono solo di fronte alla certezza della totale privacy.
Chiaramente dire a qualcuno che ti fa domande che non potrebbe o dovrebbe farti,
“𝑓𝑎𝑡𝑡𝑖 𝑔𝑙𝑖 𝑎𝑓𝑓𝑎𝑟𝑖 𝑡𝑢𝑜𝑖”
sembra inopportuno per cui si diventa spesso smemorati. Cose del tipo che quando un insegnante ti chiede:
“𝑎𝑙𝑙𝑜𝑟𝑎, 𝑒̀ 𝑣𝑒𝑛𝑢𝑡𝑜 𝑑𝑎 𝑡𝑒 𝐹𝑖𝑙𝑖𝑝𝑝𝑜?”
tu rispondi
“𝐹𝑖𝑙𝑖𝑝𝑝𝑜 𝑐ℎ𝑖?”
anche quando lo hai visto un minuto prima.

𝟒) 𝐈𝐧𝐭𝐞𝐫𝐯𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐜𝐥𝐚𝐬𝐬𝐢.
Di fronte a determinati problemi si è chiamati ad intervenire sul gruppo classe. Per esempio per casi di bullismo, problemi di relazione coi docenti, lutti improvvisi.
Qui il pensiero magico la fa da padrone. E si procede ancora una volta tra considerazioni estreme. Si va dal
“𝑙𝑜 𝑝𝑠𝑖𝑐𝑜𝑙𝑜𝑔𝑜 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑒𝑟𝑣𝑒 𝑎 𝑛𝑖𝑒𝑛𝑡𝑒” a
“𝑣𝑎𝑑𝑎 𝑖𝑛 𝑐𝑙𝑎𝑠𝑠𝑒 𝑒 𝑟𝑖𝑠𝑜𝑙𝑣𝑎 𝑙𝑎 𝑐𝑜𝑠𝑎. 𝐼𝑛 𝑑𝑢𝑒 𝑜𝑟𝑒 𝑝𝑒𝑟𝑜̀, 𝑛𝑜𝑛 𝑑𝑖 𝑝𝑖𝑢̀”.

𝟓) 𝐅𝐨𝐫𝐦𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐥𝐮𝐧𝐧𝐢.
Lo psicologo va nelle classi anche per formazione diretta degli alunni, per esempio sui temi delle sostanze, affettività, sessualità.
Qui si tratta di reclutare la piena attenzione ed essere molto incisivi per evitare o almeno limitare l'incontro con certi problemi agli alunni.
Questo tipo di interventi è molto delicato e se vuoi essere incisivo una qualche forma di fascinazione te la devi giocare.
L'autorevolezza necessita di ben più di due ore per instaurarsi, quindi almeno all'inizio in qualche modo devi farti notare. Anche a costo di gigioneggiare. Poi una volta “bucata” l'attenzione saranno i ragazzi a richiamarti in classe.

𝟔) 𝐅𝐨𝐫𝐦𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐢 𝐠𝐞𝐧𝐢𝐭𝐨𝐫𝐢.
E' un momento delicato. In piccolo gruppo o più spesso in plenaria si tratta di tenere conferenze su temi scelti dai genitori stessi o indicati dalla presidenza.
La cosa più difficile è il momento del dibattito.
Qualsiasi tema tu svolga, a fine conferenza devi rispondere a domande più o meno su tutto lo scibile umano e su argomenti che interessano solo la persona che fa la domanda.
Poi, finita la conferenza, devi tentare di arrivare alla tua automobile, che dista solo 200metri dalla porta della sala, in un tempo almeno migliore di quello che farebbe una tartaruga.
Il mio record negativo è: finita conferenza alle 23:45, arrivato all'auto alle 2. Ben 1,48metri al minuto.

𝟕) 𝐅𝐨𝐫𝐦𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐢 𝐝𝐨𝐜𝐞𝐧𝐭𝐢.
A me è capitato spesso di tenere corsi di aggiornamento docenti.
Sono momenti bellissimi. Voi penserete che i docenti non abbiano alcuna voglia di formarsi. Alle volte può sembrare e mi è sembrato. Ma a dire il vero solo durante i primi minuti della prima lezione. Poi mai. Anche in corsi lunghissimi, 30 ore, magari in orario non comodo, dalle 17 alle 20, con le famiglie che li aspettano a casa, è bello scoprire che i docenti restano fino ad oltre l'orario e spesso si viene allontanati da chi deve chiudere la sala.
Reclutare l'attenzione dei docenti può essere molto più difficile di quella dei ragazzi ma una volta ottenutala l'effetto “tellina sullo scoglio” è assicurato.

𝟖) 𝐎𝐫𝐢𝐞𝐧𝐭𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨.
Lo psicologo aiuta i ragazzi e le famiglie nelle attività di orientamento o, spesso, di ri-orientamento.
Qui la cosa più difficile da frenare è l'ansia, soprattutto dei genitori.
E' la versione psicologo-oracolo.
Dopo soli dieci minuti, con gli occhi spalancati come un cerbiatto, ti vengono poste domande semplici che riassunte suonerebbero come
“𝑚𝑖 𝑑𝑖𝑐𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑐𝑢𝑜𝑙𝑎 𝑑𝑒𝑣𝑒 𝑓𝑟𝑒𝑞𝑢𝑒𝑛𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑚𝑖𝑜 𝑓𝑖𝑔𝑙𝑖𝑜, 𝑐𝑜𝑛 𝑠𝑢𝑐𝑐𝑒𝑠𝑠𝑜, 𝑠𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑖𝑛𝑡𝑜𝑝𝑝𝑖, 𝑖𝑛 𝑐𝑢𝑖 𝑠𝑎𝑟𝑎̀ 𝑓𝑒𝑙𝑖𝑐𝑒 𝑒 𝑝𝑜𝑠𝑠𝑖𝑏𝑖𝑙𝑚𝑒𝑛𝑒 𝑑𝑜𝑝𝑜 𝑔𝑢𝑎𝑑𝑎𝑔𝑛𝑖 𝑢𝑛 𝑠𝑎𝑐𝑐𝑜 𝑑𝑖 𝑠𝑜𝑙𝑑𝑖”.

Queste ed altre cose avvengono mentre negli interstizi di tempo, a scuola, tenti di bere un caffè al bar in completo anonimato, camuffato da pianta di ficus o da espositore dei Chupa per evitare che ti arrivi la domanda della vita che inizia inesorabilmente con
“𝑐𝑒𝑟𝑐𝑎𝑣𝑜 𝑝𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑜 𝑙𝑒𝑖, ℎ𝑎 𝑢𝑛 𝑚𝑖𝑛𝑢𝑡𝑖𝑛𝑜?”
(come no, al bar, ma guarda che caso!).
In quel caso si assiste anche ad un fenomeno studiato da Einstein, la dilatazione del tempo. Il minutino diventa tutta l'ora buca del docente. Come a fine conferenza il “minutino” richiesto dal genitore diventa l'alba.
Oppure, al contrario, quando qualcuno non ti conosce ancora e ti allunga la mano per presentarsi appena gli dici
“𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑙𝑜 𝑝𝑠𝑖𝑐𝑜𝑙𝑜𝑔𝑜”
istintivamente la ritrae come per paura che toccandola possa avere il potere di risucchiargli la sua storia e, chissà, i suoi segreti.

In definitiva l'essere psicologo a scuola però si riassume in un unico vero mandato.
Accompagnare i bambini e i ragazzi verso la loro vita diventando ora scudo, ora mentore, ora madre accogliente ora padre incitante.
Un compito allegro come questo elenco semiserio.


Articolo di 2020 © Gianni Caminiti - 7 agosto 2020
Nelle foto: Gianni il nostro psicologo scolastico

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SMANIASCHOOLTEAM


Ed eccolo.
Il 𝐓𝐄𝐀𝐌 al completo di 𝐒𝐌𝐀𝐍𝐈𝐀𝐒𝐂𝐇𝐎𝐎𝐋.
Tutte le settimane, il martedì, articoli sul mondo della scuola con
𝐈𝐥𝐚𝐫𝐢𝐚 𝐁𝐞𝐥𝐥𝐢𝐧𝐠𝐡𝐢𝐞𝐫𝐢 e Chiara Gariboldi 0-6 anni (Nido e Materna)
𝐄𝐥𝐞𝐧𝐚 𝐂𝐚𝐥𝐳𝐢𝐠𝐡𝐞𝐭𝐭𝐢, 6-11 anni (Elementari)
𝐅𝐫𝐚𝐧𝐜𝐲 𝐌𝐚𝐫𝐚𝐳𝐳𝐢, 11-14 (Medie)
𝐕𝐚𝐥𝐞𝐧𝐭𝐢𝐧𝐚 𝐅𝐢𝐧𝐨𝐜𝐜𝐡𝐢𝐚𝐫𝐨 e 𝐂𝐡𝐢𝐚𝐫𝐚 𝐑𝐞𝐬𝐞𝐧𝐭𝐞𝐫𝐫𝐚, 14-19 (Superiori)
Fabio Regis 14-19 (professionali) SmaniaSchool&Work
𝐆𝐢𝐚𝐧𝐧𝐢 𝐂𝐚𝐦𝐢𝐧𝐢𝐭𝐢 (Psicologo Scolastico)

La settima prossima da lunedi a venerdì la 𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚𝐒𝐜𝐡𝐨𝐨𝐥𝐖𝐞𝐞𝐤. Un articolo a giorno dedicato alla scuola.

Questo team sarà una redazione aperta al contributo di altri attori del mondo della scuola perchè diventi una piattaforma di proposta e scambio di buone prassi. Da settembre potrete proporre i vostri articoli. Seguiteci e vi diremo come farlo.


Articolo di 2020 © Gianni Caminiti - 28 luglio2020

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𝐂𝐈𝐍𝐄𝐒𝐌𝐀𝐍𝐈𝐀 𝐄 𝐋𝐀 𝐒𝐂𝐔𝐎𝐋𝐀


Noi di cineSmania abbiamo tanto da dire sulla scuola.

Sarà che molti di noi insegnano o hanno insegnato.
Sarà che dalla scuola proviene la cultura, ciò che tentiamo in ogni modo di promuovere.
Sarà che ci piace pensare di poter offrire il nostro contributo alla scuola.

Un gruppo di persone, già da tempo “penne” del nostro gruppo, ha deciso di dare vita a una nuova rubrica.
Eccovi il suo nome: 𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚𝐒𝐜𝐡𝐨𝐨𝐥

Abbiamo scelto all'inizio della nostra avventura, ormai 6 anni fa la parola 𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚.
Il significato di 𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚 è già un programma di precisi intenti: “𝑫𝒆𝒔𝒊𝒅𝒆𝒓𝒊𝒐 𝒊𝒏𝒕𝒆𝒏𝒔𝒐, 𝒗𝒐𝒈𝒍𝒊𝒂 𝒊𝒏𝒄𝒐𝒏𝒕𝒆𝒏𝒊𝒃𝒊𝒍𝒆”.
Era proprio così. Avevamo bisogno di fare cinema e così nacque 𝐜𝐢𝐧𝐞𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚. E più tardi 𝐜𝐢𝐧𝐞𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚 𝐄𝐝𝐢𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢, 𝐞𝐝𝐢𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐞 𝐦𝐮𝐬𝐢𝐜𝐚.

Abbiamo così posto il prefisso 𝐒𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚 all'inizio di ogni nostra rubrica perchè la vogliamo urlare questa voglia incontenibile di fare e di dire.

E oggi quella voglia incontenibile si è finalmente condensata nell'esigenza, sentita da tempo, di parlare stabilmente di scuola.
Nella Smania di scrivere di Scuola.
Ogni martedì, a partire da martedì prossimo un articolo che tratterà di scuola.
Il primo sarà di Chiara Resenterra e Valentina Finocchiaro e da lì in poi, gradualmente, presenteremo le altre penne della rubrica.
Copriremo man mano tutte le fasce d'età. Fin dal Nido. Anche io, come Psicologo della scuola e dell'orientamento tenterò di dare il mio contributo alla rubrica.

Un gruppo motivatissimo di “penne” per una rubrica che avrà lo scopo non solo di descrivere ma di lanciare idee concrete per fare della scuola un luogo sempre più vivo. E, chissà, prima o poi scrivere anche libri sulla scuola.

Perchè la Smania ci porta a ribadire che Noi di cineSmania abbiamo tanto da dire sulla scuola.
Ma speriamo di avere anche tanto da dare.


Articolo di 2020 © Gianni Caminiti 7 luglio2020

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